IL CORPO GIUSTO

di R.B.

“Lei è più bella che intelligente”. Con questa frase si riaccende la polemica, sempre viva da qualche mese, del rapporto tra il premier italiano e le donne. Ma se l’attenzione della stampa si è concentrata sui risvolti politici di un rapporto quantomeno ambiguo, forse merita soffermarsi ancora un momento sui suoi risvolti culturali. Tutta l’imbarazzante polemica, dal ‘caso Noemi’ in poi, ha certamente avuto il merito di portare all’attenzione dell’opinione pubblica la ‘velinizzazione’ della società italiana e molte critiche e denunce da tempo sollevate hanno cominciato ad avere un certo peso nel portare alla luce una grave situazione troppo a lungo lasciata in ombra o considerata nell’opinione popolare materia per nostalgiche del femminismo. Molti siti hanno avuto un aumento delle visite e molti documentari sono stati visionati (www.ilcorpodelledonne.net), molti blog hanno sviluppato riflessioni quale reazione alla logica del silenzio e del dato per scontato. 

Ma non è ancora abbastanza. 

Tale situazione è uno specchio. E’ lo specchio di una visione del mondo che pare una caratteristica dell’italianità, in cui le questioni di genere sono considerate secondarie e confinate in appositi spazi, fisici e mentali. Genere, in Italia, è ancora sinonimo di donne, sia negli studi accademici sia presso l’opinione pubblica. Parlare del ‘premier e le donne’ significa ancora una volta dare per scontato che la ‘categoria donna’ esista di per sé e, cosa ancor più grave, significa dare per scontato che la ‘normalità’ sia rappresentata dagli uomini. Tale visione del mondo si concretizza anche attraverso un atteggiamento di accettazione di una serie di condizioni che sono state naturalizzate e quindi date per scontate. Si dà troppo per scontato, ad esempio, che la rappresentanza politica e quindi la gestione del potere sia maschile (non si pensi solo alla presenza in parlamento delle donne ma anche alla formazione dei comitati direttivi delle associazioni geografiche o all’accesso delle accademiche ai ruoli di potere nell’università italiana o alla scarsità delle donne chiamate a partecipare ai convegni o nei dibattiti in qualità di esperte), che una linguaggio situato a livello di genere, ovvero un linguaggio che parte da una posizione ben precisa, passi da linguaggio neutro. Troppo spesso il linguaggio non viene percepito come portatore di significati altri (politici, culturali, sociali). Usare il termine ‘uomo’ per definire l’umanità nel suo insieme, è considerato talmente ‘naturale’ da far dimenticare il rapporto tra genere, potere e produzione della conoscenza che lo sottende. Nel linguaggio comune l’uomo è ancora considerato il 100% dell’umanità e la situazione non migliora nel contesto scientifico, dove ben poche discipline hanno cominciato ad adottare un linguaggio politicamente corretto, sostituendo ‘uomo’ con ‘individuo’, ‘persona’, ‘soggetto’ .

 A fronte dell’avanzamento delle scienze sociali in questo campo, all’estero ma anche, seppur in maniera minore, nel contesto nazionale, non si è verificato un impatto rilevante di tali riflessioni nell’opinione pubblica. Com’è possibile non accorgersi che riportare negli articoli della stampa riguardanti il dibattito sulla riforma dell’università, dei riferimenti all’occhiale della Gelmini o al suo stile nell’abbigliamento sia una forma di discriminazione con profonde radici culturali? Se è vero che l’atteggiamento del premier ha legittimato rapporti patriarcali di subordinazione e di gestione delle relazioni di genere, è pur vero che le deboli reazioni della maggior parte dell’opinione pubblica dimostrano che non siamo in presenza di una causa ma di un effetto. Siamo in presenza dell’adozione di una forma mentis regolata sul discorso dominante e della mancanza di strumenti alternativi per interpretare la realtà. Il divario esistente tra il discorso scientifico e il discorso popolare è, così, ben evidente nelle pubblicità e nei media in generale, che promuovono un’immagine del corpo femminile ancora ricca di stereotipi e radicata su di una ‘tipizzazione’ e divisione dei ruoli all’interno dello spazio sia privato che pubblico. 

Nello stesso giorno in cui la stampa commenta l’offesa a Rosy Bindi, ci si chiede se la società italiana sia omofobica dopo l’ennesima aggressione a coppie gay, ma ancora non ci si pone la domanda di quanto uno spazio pubblico che passa per neutro sia in realtà fortemente connotato a livello di genere. E’ l’eteronormatività, ovvero la naturalizzazione dell’eterosessualità quale ‘normale’ espressione delle relazioni sessuali, che trae la sua forza dal radicamento dei tradizionali rapporti di genere, a generare spazi, soprattutto pubblici, in cui l’unica presenza che sembri ‘giusta’ e legittimata è quella del corpo maschile, eterosessuale, bianco e occidentale. Ed è questo il paradosso, perché lo spazio pubblico è per definizione di tutti. Ma forse, ancora più paradossale, è che ancora oggi si sia sentita l’esigenza di scrivere 2000 battute su questo tema…   

LINK UTILI

http://esseredonneinitalia.womanblog.com/index.htm

http://comunicazionedigenere.wordpress.com/

http://femminileplurale.wordpress.com/

http://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-1/donne-al-te4mpo-del-cavaliere/donne-al-te4mpo-del-cavaliere.html?ref=search 

 

ALTRI SITI UTILI

http://www.queertheory.com/

http://chiennesdegarde.com/

http://www.habiter-autrement.org/22_sex/genre_ca.htm

http://www.gendersite.org/

http://www.efigies.org/

http://www.topicsandroses.com/?lang=en

http://www.nextgenderation.net/

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