VIA DA ROMA? SULLA PROPOSTA DI TRASFERIRE ALCUNI MINISTERI ITALIANI

di Michele Castelnovi

 

Didascalia: biglietto di auguri natalizi 2010 inviato dal ministro Calderoli alle istituzioni. L’orientamento con il sud in alto è probabilmente finalizzato solo a simulare un albero di Natale verde, al quale sono attaccate palle colorate, dieci verdi-padane e otto multicolori. Immagine del 13 maggio 2011 (proprio così), dal sito www.agenparl.it 

Nell’Ottocento, una delle principali preoccupazioni dei sovrani e dei governi era difendere militarmente la capitale (e invadere militarmente le città-capitali altrui). L’età napoleonica aveva dimostrato quanto fosse importante questo concetto, in particolare con la disastrosa campagna in direzione di Mosca: ma lo schema (invasione dalla periferia – sollevazione dei sudditi meno fedeli – avanzate verso la capitale) resterà un classico paradigma per l’arte bellica del XIX secolo, con esempi eclatanti come l’impresa dei Mille di Garibaldi o l’aggressione prussiana verso Parigi (inutilmente protetta da imponenti opere difensive, dal confine fino ai bordi della città).

In questo modo, paradossalmente, si rovesciava un principio medievale: un tempo, i cittadini erano disposti a tassarsi per mantenere una casta di guerrieri (i nobili, il sovrano) affinchè li difendessero, alla fine dell’Ancien Régime invece erano il re e i nobili che frapponevano i cittadini come scudo umano tra il confine e la città-capitale. Una costante dell’azione geopolitica sabauda (insieme ad altre concomitanti istanze) fu sempre cercare di allargare quanto più possibile la distanza tra la città-capitale ed il confine, prima allontanando i confini da Torino, poi allontanando la città-capitale dalle Alpi prima Firenze e poi, appena possibile, a Roma: solo nel 1943 ci si accorgerà che quest’ultima è meno difendibile di Torino.

La città-capitale era un contenitore unico ed esclusivo. Tutti i parlamentari intorno alla corte, tutti i ministeri in prossimità del Re. Inevitabilmente, codesta concentrazione di ministeri ha incrementato la demografia e l’urbanistica: senza contare ragioni di prestigio (visite ufficiali ecc) che inducevano – in tutti gli Stati – ad investire maggiormente nella città-capitale, anche sotto il profilo culturale (le maggiori università, esposizioni, mostre, ma anche ospedali, cliniche, case editrici). Ne consegue una spirale di accentramento che si autoalimenta sia nelle fasi ordinarie, sia nelle fasi di accentuazione – ad esempio durante il Fascismo con l’esaltazione della Roma imperiale. “Tutte le strade portano a Roma” (tranne il GRA che le gira attorno), ma anche tutte le ferrovie e tutti gli aerei e qualsiasi altra forma di infrastruttura.

A distanza di tanti decenni, però, la spirale dell’accentramento forse inizia a mostrare effetti collaterali: anche perché sembra meno pressante il pericolo di un’invasione militare da parte dell’Austria! A favore della concentrazione dei ministeri in un’unica città, naturalmente, vi era a quel tempo la difficoltà delle comunicazioni: prima dei telefoni, addirittura, la necessità di inviare fattorini da un palazzo all’altro (figurarsi da città a città!). Sono stati scritti interi libri sulla rivalità storica tra Milano e Roma, nonché sull’inesauribile memoria del passato delle città ex-capitali: Genova, Venezia, Torino, Firenze, Parma, Napoli, Palermo. Ma forse oggi dovremmo pensare più al futuro che al passato.

Durante la campagna elettorale delle amministrative 2011 è circolata sui quotidiani l’ipotesi di trasferire alcuni ministeri a Milano (On. Umberto Bossi). Ci furono molte reazioni, pro (On. Roberto Calderoli, che aveva già espresso idee analoghe a dicembre 2010) e contro (On. Alemanno, Schifani, Gasparri e Polverini governatore del Lazio), senza contare i molti onorevoli meridionali che immediatamente hanno rivendicato pari trattamento per Napoli, Palermo, Bari. La discussione (a volte con “schemi cartografici” dalla scientificità dubbia: si vedano le riflessioni di BORIA, Edoardo, Cartografia e potere. Segni e rappresentazioni negli atlanti italiani del Novecento, Torino, Utet, 2007, p. 11 e sg.) ha coinvolto molti politici, opinionisti, giornalisti e tuttologi, ma nessun geografo. Eppure, sono proprio i geografi i più indicati a studiare gli effetti di una vera e propria “riscoperta del territorio” e della progressiva complessificazione della spazialità dello Stato a cui si associa, negli ultimi anni, la riorganizzazione geografica di molte funzioni pubbliche (BRENNER, Neil, New State Spaces. Urban Governance and the Rescaling of Statehood, Oxford University Press, 2004).

Vorrei quindi lanciare una provocazione, sollecitando risposte geografiche e storico-geografiche sui seguenti temi, auspicando che ciascuno possa prescindere dalle simpatie e dalle antipatie che nutre verso i partiti politici attuali (panta rei).
Potremmo verificare altri esempi di capitali reticolari nel mondo, consapevoli che sono esempi molto rari: ad esempio in Germania (dove alcuni ministeri hanno conservato la loro sede a Bonn nonostante l’unificazione e lo spostamento della capitale a Berlino) o nella Repubblica Sudafricana che ha tre città-capitali: Pretoria (amministrativa) che è la capitale de facto, Città del Capo (con il Parlamento e gran parte dei ministeri) e Bloemfontein (ministero della Giustizia).
Si potrebbe fare un censimento storico delle proposte già formulate per l’Italia, a partire dai trattati dei federalisti ottocenteschi fino alle giravolte dei partiti all’Assemblea Costituente (BONORA, Paola, I geografi nel dibattito sulla questione regionale (1944-1948), Bologna, Pitagora, 1980) – fino agli sviluppi più recenti (ONETO, Gilberto, La Padania non esiste, anzi sì, in “Limes”, 2011, 2, pp. 79-85).

Si potrebbe riflettere, se un eventuale trasferimento di Ministeri non finisca col confermare, anziché contraddire, l’unità dello Stato più che il secessionismo. la Lega del 2011, in espansione elettorale in regioni come Toscana ed Emilia (una carta in ANDERLINI, Fausto, L’Emilia-Romagna, una regione col trattino, in “Limes”, 2011, 2, pp. 71-78), che propone codesti trasferimenti di dicastero, è ancora la Lega rivoluzionaria delle origini, o no? Si tratta di una Lega sorprendentemente statalista, sebbene favorevole ad uno Stato decentrato? E quali riflessioni possono essere sviluppate sulle relazioni tra questa proposta e le battaglie del partito per una maggiore autonomia dei territori? Quali sono gli obiettivi anche territoriali del partito, rispetto alle diverse ipotesi di riorganizzazione geografica dello Stato (federalismo, secessione, abolizione delle province, macroregioni, ecc.)?

E quali Ministeri sarebbe opportuno trasferire? Il Ministero per le Riforme, come tutti quelli senza portafoglio, comprende pochissimo personale. Alcuni ritengono che potrebbe essere altamente simbolico trasferire il Ministero della Giustiza a Milano (per Mani Pulite) o a Palermo (per la mafia). In alcuni Stati il Ministero della Giustizia è ubicato fuori dalla capitale  proprio per evidenziarne l’autonomia. In ambito italiano già a livello di suddivisioni interne all’amministrazione della giustizia “il principio di separazione tra i vari poteri dello Stato si riflette in un’articolazione geografica [dell’amministrazione giudiziaria] che, da sempre, prescinde in maniera particolare da quella delle amministrazioni generali” (CELATA, Filippo, L’individuazione di partizioni del territorio nelle politiche di sviluppo locale in Italia: ipotesi interpretative, Rivista Geografica Italiana, 115, 1, 2008, p. 10).

Ed infine: se una delle motivazioni fosse (ma forse non lo è) decongestionare Roma, allora forse si dovrebbero escludere città già congestionate come Milano e soprattutto Napoli. Forse – ma è solo una provocazione – potremmo immaginare alcuni requisiti per queste città-sedi-di-ministeri: 1) urbanisticamente espandibili in maniera sostenibile (esclude Venezia, Trieste, Aosta); 2) facilmente raggiungibili con le infrastrutture che già esistono, per evitare di costruire apposta di nuove (come per il tracciato della Salerno-Reggio Calabria passando per Cosenza); 3) escludere centri che abbiano come unica caratteristica l’essere il feudo elettorale di qualche politico momentaneamente in auge, dato che “panta rei”, tutto scorre, e un Paese non può scegliere di collocare un Ministero nella città di Eulalia (nome di fantasia) solo per soddisfare le effimere clientele politiche del tal onorevole La Qualunque (nome di fantasia) – col rischio poi di rendere più appetibile un determinato ministero ubicato a sud solo ai politici del sud, eccetera (fuor di metafora: Bersani ironizzava proprio su questo in una recente puntata di Ballarò. Il criterio sembra quasi quello di spostare i ministeri per assecondare la comodità dei ministri “attuali”, cioè Bossi e Calderoli a Milano e Carfagna a Napoli).

Naturalmente è impossibile esaminare un tema così complesso in poche righe. È solo una provocazione, nella speranza di suscitare una serie di risposte sui singoli aspetti.

Post scriptum: l’articolo non tiene conto dell’ipotesi di scegliere per l’ubicazione di alcuni ministeri senza portafoglio Monza, sopraggiunta dopo la stesura originale.

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