“Il territorio non mente”. Le mafie nei pascoli abruzzesi e il valore etico e politico del fare ricerca. 

Foto di Federica Manetta

di Lina Calandra (Università degli studi de L’Aquila)

 

   “Questa cosa la sanno tutti, da anni! La sanno le associazioni di categoria, la sanno i nostri governanti, la sanno dirigenti e funzionari, la sa la Procura… la sanno tutti! Ma nessuno ne parla, nessuno fa niente”.

“A noi nessuno ci sente, almeno voi ci siete stati a sentire!”.  

 “Ditelo voi, fatelo sapere! Voi siete l’Università, forse a voi vi staranno a sentire”.

 “Voi sapete parlare, potete chiamare un giornalista, andare in televisione”.

“Di questa cosa più si parla e meglio è: ditela, ditela per favore!”.

 

 

Queste sono solo alcune delle richieste – in alcuni casi suppliche – raccolte durante l’intensa attività di ricerca sul campo condotta da maggio 2017 a marzo 2019 dal Laboratorio Cartolab dell’Università dell’Aquila nel quadro di vari progetti (figura 1), con il coinvolgimento di varie professionalità e di qualche decina di studenti universitari. Un’attività che ci ha portato, ad un certo punto, a decidere che la priorità della ricerca, la nostra “prima missione” come università doveva essere quella di dare seguito a tali richieste, di assumerle come cornice entro la quale riscoprire e praticare il valore etico e politico del fare ricerca, del produrre conoscenza, per tutti.

Fig. 1 – L’ascolto del territorio: aree interessate, progetti e interviste

 

Gli aiuti diretti agli agricoltori della Politica Agricola Comunitaria (PAC)

La “cosa” a cui le richieste fanno riferimento è la “mafia dei pascoli” che prende forma sul territorio secondo varie fattispecie a seconda degli attori coinvolti e dei contesti, e interessando diversi piani, ma con uno stesso obiettivo: gli aiuti europei al settore agricolo.

La storia comincia con la riforma della PAC del 2003 (la cosiddetta Riforma Fischler sotto la Presidenza della Commissione Europea di Romano Prodi), che introduce il “disaccoppiamento” degli aiuti diretti: il contributo europeo, cioè, non è più legato alla produzione ma viene concepito come sostegno al reddito dei produttori che quindi sono liberi di decidere se e cosa produrre. Non agganciandosi più alle varie produzioni, per ottenere il pagamento dell’aiuto comunitario, viene introdotto il “diritto” all’aiuto calcolato sulla base del valore medio dei pagamenti percepiti da ogni agricoltore nel periodo di riferimento (fissato al triennio 2001-2003): tale valore, diviso per il numero medio degli ettari utilizzati sempre nel periodo di riferimento, definisce il “titolo” all’aiuto. Per ottenere il pagamento dell’aiuto, il titolo si aggancia ad un ettaro di terreno; i terreni ammissibili possono essere quelli destinati a colture annuali ma anche a pascolo. Per “appoggiare” il titolo su quanti più ettari possibili, si scatena la corsa all’accaparramento dei pascoli anche perché, nel contempo, prende forma un mercato (o meglio, un traffico) dei titoli.

Le distorsioni che rendono perverso l’intero meccanismo sono diverse. Innanzitutto, si registra una enorme difformità del valore dei titoli tra gli imprenditori agricoli: si passa da titoli dal valore di poche centinaia di euro a titoli da diverse migliaia di euro. In generale, possiamo dire che i titoli maturati nelle grandi aree agricole del Paese hanno un alto valore perché calcolati su prodotti che nel periodo di riferimento beneficiavano di importanti contributi (per esempio, mais, grano duro, barbabietola, soia, pomodoro da industria, agrumi da industria, tabacco, oleaginose ma anche vino, ortofrutta e, nel settore zootecnico, bovini da latte e da carne, suini, avicoli). Invece, titoli maturati in aree come quelle montane hanno in genere basso valore perché calcolati su prodotti di più basso valore nel periodo di riferimento ai fini dei contributi europei (grano tenero, orzo, cereali minori, colture erbacee). Altro aspetto distorsivo deriva dal fatto che i titoli possono essere agganciati indifferentemente su qualsiasi tipologia di terreno a prescindere da dove siano maturati. Quello che gli allevatori fanno notare è che “non è giusto” consentire che un titolo maturato sulla base di prodotti ad alto valore, diciamo, di pianura, venga appoggiato su un terreno di montagna, su un pascolo: come fa un allevatore che ha un titolo di 150€ a reggere il confronto con un agricoltore che ha un titolo di 10.000€? Riguardo i pascoli, quindi, la perversione prodotta dalla PAC tramite gli aiuti diretti agli agricoltori consiste nel fatto che, non solo certi allevatori si sono ritrovati con titoli di basso valore, ma anche che negli anni quegli stessi allevatori si sono ritrovati pure senza pascoli sui quali appoggiarli finendo per perdere anche i titoli. Altri effetti perversi riguardano il mercato dei titoli per cui, per esempio, basta saper giostrare con chiusure/aperture di aziende, magari intestate a giovani under 40 che hanno accesso alla riserva nazionale di titoli, e il gioco è fatto: si guadagna senza che “sia cambiato nulla in termini di miglioramento e crescita delle aziende”, ma in virtù di un semplice artificio burocratico-finanziario. Giustamente, qualche allevatore commenta: “Altro che ritorno alla terra dei giovani!”.

Nel 2015, vengono introdotte alcune modifiche alla PAC ma sostanzialmente il meccanismo di base rimane inalterato. Tra le modifiche introdotte dall’Italia risulta il calcolo del valore del titolo che prende a riferimento l’anno 2014 e che, come imposto a livello europeo, viene “spacchettato” in: pagamento di basegreening e giovani agricoltori.

Ecco, questo è quello “che sanno tutti”.

 

Le truffe sui fondi PAC: se ne parla per anni e si intraprendono iniziative. Ma le mafie che c’entrano?

Ora, ci si potrebbe chiedere che cosa c’entrano le mafie. Apparentemente niente. Di fatto, dando una rapida e non completa occhiata alle notizie che vengono pubblicate, in tutta Italia, per circa un decennio, quello che si trova è in genere “truffa all’UE”. Per dire, e solo a titolo di esempio, il 19 aprile 2006 La Tribuna di Treviso pubblica la notizia “Truffa all’EU, arrestato imprenditore” (qui): “Nella truffa è coinvolta anche una cooperativa abruzzese, l’A.bi.cà, controllata da una famiglia di allevatori trentini. La Cooperativa aveva il compito di trovare nella regione terreni demaniali da subaffittare illegalmente ad aziende agricole italiane che se ne servivano poi per ottenere i finanziamenti europei. Proprio in Abruzzo sono state arrestate tre persone, mentre un’altra decina sono state denunciate. Il cervello dell’organizzazione, hanno spiegato gli investigatori, era invece in Trentino, dove sono stati arrestati sette imprenditori”. Per la cronaca, a distanza di circa 10 anni, i trentini vengono assolti. Negli anni, diverse sono le locuzioni utilizzate dai giornalisti: “i pascoli d’oro”, “i pascoli fantasma”, “i pascoli di carta” (come, per esempio, qui).  Anche le notizie pubblicate in Abruzzo riferiscono la questione in termini di truffa. Tra i primi articoli che abbiamo trovato, almeno per la provincia dell’Aquila, ci risulta quello della giornalista Maria Grazia Trozzi che nel 2013 pubblica l’articolo “Mucche da record di 83 anni: il retroscena dei prati pascoli” (qui).

Insomma, non è proprio vero che “nessuno ne parla”, sia a livello nazionale che locale: evidentemente, c’è qualcos’altro di cui nessuno parla… Allo stesso modo, non è del tutto vero che “nessuno fa niente” perché gli allevatori le provano tutte: con le associazioni di categoria, con denunce pubbliche a mezzo stampa, con esposti e denunce agli organi giudiziari, ecc..

Si registrano anche esempi virtuosi di contrasto come nel caso riferitoci dal Comandante della Stazione Carabinieri Parco Majella di Lettomanoppello (PE), il Maresciallo Maurizio Colantoni. Nel 2013 il Comando denuncia due persone, una del posto e una proveniente dal Foggiano, che inseriscono nella domanda di contributi un terreno demaniale del Comune di Roccamorice ad insaputa della stessa amministrazione (qui). Di nuovo, nel 2015, il Comando denuncia cinque persone, due del posto e tre foggiani (tra cui, di nuovo, le stesse denunciate nel 2013), perché sui terreni dei comuni di Abbateggio (PE), Pretoro (CH), Rapino (CH) e L’Aquila (AQ), che vengono inseriti in una richiesta per contributi comunitari, il pascolamento non viene effettuato: il numero di capi è talmente esiguo, infatti, da non coprire le intere superfici. Per ciascun denunciato, il Comando eleva una sanzione amministrativa di 138.000 €.

Anche la componente politica interviene, come per esempio nel 2013 l’Assessore regionale alle Politiche agricole, Maurizio Febbo. Ci sono anche iniziative sia a livello nazionale che europeo. C’è, per dire, a livello nazionale, l’interrogazione parlamentare di Adriano Zaccagnini del 30 giugno 2015 nella quale, tra le altre cose, si legge (qui): “Tutto parte grazie a un’indagine della Guardia di finanza e dell’Ufficio antifrode europeo, Olaf, sul Sistema informatico agricolo nazionale, Sian, utilizzato per gestire tutte le operazioni relative alla PAC in Italia. Gli accertamenti hanno consentito di scoprire l’esistenza di un registro parallelo, una sorta di limbo, che in Agea era conosciuto e gestito da pochi; la contabilità debitoria di posizioni irregolari o fraudolente legate all’uso dei fondi dell’Unione europea veniva riportata in questo registro parallelo. La pratica è andata avanti dal 1999 al 2013, fino a quando la Guardia di finanza e l’Olaf hanno deciso di vederci chiaro; le situazioni opache, invece di essere approfondite e risolte col recupero del denaro da Agea negli anni, sono state ammucchiate in un angolo nascosto del Sian, lasciando che finissero in prescrizione”.

Oppure, a livello europeo, l’interrogazione alla Commissione a firma di Rosa D’Amato e Marco Zullo dell’11 ottobre 2016 (qui): “Le autorità italiane hanno scoperto, nel corso degli anni, diverse truffe a carico dei fondi della politica agricola comune (PAC): ad esempio attraverso le banche dati dei CAA (centri autorizzati di assistenza agricola), i truffatori verificavano quali terreni non avessero mai fatto richiesta dei contributi erogati a fondo perduto dall’UE e, con l’aiuto di diversi prestanome, riuscivano a incamerare i fondi senza nessun controllo sulla veridicità degli atti di proprietà presentati ai funzionari dei CAA complici”.

Insomma, come detto, non è del tutto vero che “nessuno fa niente”, ma sicuramente è vero che le varie iniziative messe in campo nel corso degli anni non risolvono la situazione che, anzi, col tempo sembra decisamente peggiorare. Evidentemente, c’è altro. E noi, nella nostra esperienza, cominciamo ad averne il sentore durante lo svolgimento del progetto Life Praterie (2013-2017) del Parco Nazionale del Gran Sasso-Laga (www.lifepraterie.it), al quale partecipiamo tramite convenzione. Il Progetto, che si propone, tra le altre cose, l’elaborazione di Linee guida per la regolamentazione dei pascoli, si svolge in un clima di crescente tensione (come raccontato qui) e mentre è ancora in corso, le cronache nazionali riportano dell’attentato all’allora Presidente del Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, nel maggio 2016 (qui).

“Ma si sa, quella è la Sicilia… da noi non è così!”.

 

La ricerca geografica sul campo: il territorio non mente e la “serietà” della ricerca

E torniamo al nostro racconto: “…almeno voi ci siete stati a sentire!”. Ecco, l’ascolto, ossia il pilastro che regge la ricerca sul campo del Laboratorio Cartolab dal 2009, quando, nostro malgrado, ci siamo ritrovati nella condizione di terremotati-ricercatori, cioè nella condizione di essere, allo stesso tempo, oggetti e soggetti di conoscenza. Le varie attività messe in campo nel seno della ricerca-azione partecipativa, pensata inizialmente “in piazza” e poi portata avanti dal gruppo di lavoro del Laboratorio con gli studenti ininterrottamente dal 2010 al 2017, anche in convenzione con il Comune dell’Aquila, in effetti, ci hanno visti impegnati nel duplice e inscindibile ruolo di terremotati e di ricercatori. Da quel momento, l’attività di ricerca ha coinciso con un processo continuo di apprendimento che ci ha portati progressivamente ad eliminare il diaframma che divide l’oggetto della conoscenza dal soggetto che conosce: ognuno di noi è sempre e comunque soggetto di conoscenza; il ricercatore non è colui che sa o che sa di più, è solo colui che governando metodi, strumenti, linguaggi, ecc. riesce a codificare la conoscenza a livello scientifico.

In questa prospettiva, l’intervista, e quindi l’ascolto, non è più solo una tecnica di raccolta dati, ma è anche un’esperienza esistenziale o, comunque, tende ad esserlo. C’è cura, attenzione, rispetto, apertura, condivisione; c’è l’umiltà di recepire tutto quello che la persona che si ha di fronte racconta. Con gli anni, abbiamo potuto verificare quanto l’attività sul campo così intesa moltiplichi le possibilità di comprensione, aprendo la conoscenza ad una dimensione che altrimenti resterebbe inaccessibile: quella dei sentimenti delle persone e dei luoghi. Andando avanti nella ricerca, abbiamo potuto verificare quanto l’ascolto profondo, e nel contempo diffuso del territorio, luogo per luogo e persona per persona, offra più possibilità di far emerge “come stanno veramente le cose”. Perché il territorio, se lo ascolti veramente, non mente.

Per questo, ad un certo punto, non abbiamo avuto più dubbi: ciò che avviene in riferimento ai pascoli sulle nostre montagne è criminalità organizzata, ad alti livelli, che poi, a seconda delle zone, dei soggetti coinvolti, di specifiche contingenze, può assumere connotazioni più o meno violente e forme più o meno palesi.

Così, a partire da giugno 2018, conclusa l’analisi dei dati relativi al territorio del Parco Nazionale del Gran Sasso-Laga; e, di nuovo e con maggiore determinazione, a conclusione della fase delle interviste sul campo nel contesto del Parco Nazionale della Majella e del Parco Regionale del Sirente-Velino/Media e bassa Valle del Fiume Aterno, l’abbiamo detta la “cosa”: in decine di incontri pubblici sul territorio; in occasione dell’iniziativa promossa da Libera presso il Dipartimento di Scienze Umane il 19 novembre 2018 (video); in presentazioni, convegni, incontri di gruppi e associazioni. Lo abbiamo detto che quella dei pascoli è criminalità organizzata, anche di stampo mafioso. C’è dentro di tutto: mafie note, intrecci tra mafie note, intrecci tra mafie e altri tipi di organizzazioni.

Ma, pur essendo “università”, in più di una occasione e in maniera piuttosto sgradevole, prescindendo dall’illustrazione dei presupposti teorici, dei metodi, degli strumenti, delle professionalità coinvolte e dei risultati conoscitivi complessivi prodotti, ci è stato detto, soprattutto da parte di soggetti che rivestono funzioni pubbliche:

“Ma questa non è una ricerca seria!”;

“Bisognerebbe conoscere chi vi ha detto queste cose, quali sono le fonti. Non si può mica credere a tutto quello che dice la gente!”;

“Questa storia della mafia dei pascoli è una baggianata”;

“Non potete andare in giro a dire che in Abruzzo c’è mafia! Ci manca solo questo: il terremoto, Rigopiano… Abbiamo chiuso così! Se avete elementi, denunciate, altrimenti sono chiacchiere”.

Quello che abbiamo potuto verificare è che, in riferimento ai progetti di ricerca, in certi contesti, vige una sorta di patto implicito: le ricerche “serie” sono quelle che non scombinano troppo le carte; sono quelle che fanno giusto qualcosa di buono, contribuendo magari a qualche buona pratica, con testimoni privilegiati, con gruppi selezionati di persone; sono quelle che non approfondiscono più di tanto i problemi, le dinamiche, i fenomeni… i sentimenti. In altre parole, le ricerche “serie” sono quelle che rimangono chiuse nell’autoreferenzialità orizzontale del progetto stesso che, pur di rimanere in piedi, anche nella prospettiva di mantenere i rapporti per finanziamenti futuri, se necessario, impedisce alla realtà di fare irruzione sulla scena: la realtà è un “dato non pertinente”, la realtà deve essere un “dato non pervenuto”.

Lo sapevamo già, in verità, lo abbiamo solo ulteriormente verificato. I rapporti con il Parco Nazionale del Gran Sasso-Laga si chiudono e si interrompono, dopo dieci anni durante i quali abbiamo visto l’Ente, con i tecnici, gli uffici intraprendere, pur tra mille difficoltà, un importante percorso di apertura al territorio. La ricerca “Il territorio dei miei sogni” (qui) semplicemente “non esiste”, sebbene cofinanziato dallo stesso Parco nella prospettiva di elaborare il nuovo Piano pluriennale di sviluppo socio-economico, assolutamente necessario vista la situazione in cui versa il territorio per le varie crisi sismiche (2009 e 2016-2017) e il dissesto idrogeologico drasticamente peggiorato dopo la “grande nevica” del gennaio 2017. A tutt’oggi, nessuna traccia del Piano pluriennale.

Nel frattempo, c’è un’ennesima denuncia dell’Amministrazione separata degli Usi Civici di Paganica-San Gregorio con Confagricoltura, per esempio sulla TV locale, laQtv, in un servizio del 22 settembre 2018 (qui).

 

La rilevanza nazionale e la conferma degli esiti della ricerca

Passano altri mesi. La nuova stagione di pascolo si apre. Su stampa e tv locali ricompare qualche notizia. I tentativi di stabilire un contatto con qualcuno “di fuori” – che possa aiutarci a dare risonanza alla cosa – non sortiscono effetti. Ci contatta la giornalista Daniela Braccani, della testata aquilana online Virtù Quotidiane. La Braccani è la prima, nel 2017, ad avere il coraggio di riferire della vicenda dei pascoli esplicitamente in termini di “mafia” con l’articolo: “La mafia dei pascoli: sugli alpeggi aquilani le mani dei truffatori dei fondi UE” (15 giugno 2017, qui). Proprio a firma della Braccani, il 30 giugno 2019 viene pubblicato sulla testata l’articolo “La ricerca dell’Università dell’Aquila che scoperchia l’omertà sulla mafia dei pascoli” (qui). Dopo il servizio di Umberto Braccili, che va in onda il 3 luglio 2019, nel TGr Abruzzo, l’attenzione diventa nazionale con il servizio “Le mani sui pascoli” di Vincenzo Guerrizio andato in onda, in versione completa, il 27 settembre 2019 nel Rotocalco del TG1 ,Tv7 (qui).

E arriviamo ad oggi. La notizia del 15 gennaio 2020 relativa all’operazione che ha portato a 94 misure cautelari e 151 sequestri di aziende nel Messinese, che coinvolge anche l’Abruzzo (qui), riaccende l’attenzione anche sulla ricerca del Laboratorio Cartolab, per esempio, attraverso gli interventi a:

Radio1, Giorno per Giorno del 16 gennaio 2020 – “Mafia e fondi europei” (Generale Pasquale Angelosanto, ROS dei Carabinieri; Dottor Gian Carlo Caselli, Osservatorio sulla criminalità nel settore agroalimentare – Coldiretti; Professoressa Lina Calandra, Università dell’Aquila) (qui);

Radio24, Uno, nessuno, 100Milan del 17 gennaio 2020 (Dottor Giuseppe Antoci, ex Presidente Parco dei Nebrodi; Prof. Lina Calandra, Università dell’Aquila) (qui).

A questo punto, noi la “cosa” l’abbiamo detta. E a breve la pubblicheremo. Ora sta ad altri.